Uscire dall’Unione europea non è stato un affare redditizio, secondo uno studio pubblicato nelle ultime ore. Anzi: solo in termini di mancati investimenti è costato al Regno Unito 29 miliardi di sterline, pari a circa 32 miliardi di euro, mille sterline a famiglia. 

L’analisi, diffusa dal quotidiano Guardian, è stata condotta da un alto funzionario della Banca d’Inghilterra. Jonathan Haskel, membro esterno del comitato di politica monetaria della Banca, sostiene nel dossier che gli investimenti del settore privato “si sono fermati di colpo” negli anni successivi alla decisione di uscire dall’Unione. 

Haskel sostiene che l’economia britannica ha iniziato a calare dopo il referendum, perdendo terreno rispetto al trend dei precedenti 6 anni, e “ha sofferto molto di più se comparata alle altre economie industriali”, aprendo così un divario che ha lasciato cicatrici permanenti.

Lo studio arriva a rinfocolare le polemiche, proprio nel mezzo di una congiuntura difficile per l’economia britannica, che dopo la pandemia di Covid fatica a rialzarsi e subisce
in maniera pesante i colpi dell’ondata inflazionistica. La scorsa settimana, leader britannici trasversali ai partiti si sarebbero riuniti riservatamente assieme a dirigenti di aziende multinazionali e istituzioni sovranazionali in una tenuta dell’Oxfordshire per capire come fermare il declino. 

La maggior parte degli studi che esaminano il calo economico del Regno Unito si concentra soprattutto sul commercio. La Banca d’Inghilterra ha confrontato
l’attuale livello di scambi commerciali del Regno Unito con la traiettoria prevedibile prima dell’uscita dal mercato unico Ue nel 2019: il divario ammonterebbe al 3,2% del Pil entro il 2026. L’Office for Budget Responsibility, che è un previsore indipendente al servizio del governo di Sua Maestà, ha stimato un calo del Pil del 4% nel lungo periodo rispetto al livello che avrebbe raggiunto se il Regno Unito fosse rimasto all’interno della Ue. 

Le simulazioni effettuate nello studio di Haskel vagliano invece la produttività: “L’attuale penalizzazione è di circa l’1,3% del Pil“, si legge. Quell’1,3% del Pil, spiega il funzionario, corrisponde a “circa 29 miliardi di sterline, 1.000 sterline per famiglia”. Entro il 2026, la perdita stimata ammonta a circa il 2,8% del PIL

 

 

 

Nel frattempo, a quattro anni di distanza, restano ancora questioni aperte, come quella dei controlli ai confini tra l’Irlanda (la Repubblica irlandese, Stato membro dell’Ue) e l’Irlanda del Nord (parte del Regno Unito). 

Per evitare di stabilire un confine fisico in territorio irlandese, i controlli sono stati sostanzialmente spostati al passaggio fra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord. Secondo il quotidiano britannico Telegraph, un accordo sul tema dovrebbe essere annunciato entro due settimane e – dicono le anticipazioni sull’intesa – i beni che viaggiano tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord non saranno più sottoposti a controlli doganali fisici grazie a un sistema “a semaforo”. 

 

 

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