Alcuni organismi in natura hanno sviluppato la capacità di entrare in uno stato di metabolismo sospeso, chiamato criptobiosi, quando le condizioni ambientali diventano particolarmente sfavorevoli. Questo cambiamento di stato richiede l’esecuzione di una combinazione di percorsi genetici e biochimici che consentono di sopravvivere per periodi prolungati.

Di recente alcuni esemplari di nematoda (noto anche come verme cilindrico) sono stati rianimati dal permafrost siberiano dopo essere rimasti in criptobiosi dal Pleistocene (circa 46mila anni). Uno studio del Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics di Dresda, del Center for Systems Biology di Dresda, dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Colonia e dell’Institute of Physicochemical and Biological Problems in Soil Science RAS in Russia, pubblicato su PLOS Genetics, rivela che questi organismi appartengono a una specie finora mai descritta, che gli autori hanno chiamato Panagrolaimus kolymaensis.

In precedenza, individui di nematodi erano stati rianimati da campioni raccolti da una tana fossile in depositi di limo nell’Artico nordorientale. Nella ricerca, l’analisi al radiocarbonio del materiale vegetale prelevato dalla tana ha rivelato che questi depositi ghiacciati, a 40 metri di profondità, non si erano scongelati del tutto dal tardo Pleistocene, datato tra circa 45.839 e 47.769 anni fa.

Gli scienziati hanno confrontato il suo genoma con quello dell’organismo modello Caenorhabditis elegans e hanno identificato i geni in comune che sono coinvolti nella criptobiosi. Quando sono state leggermente essiccate in laboratorio, entrambe le specie hanno aumentato la produzione di uno zucchero chiamato trealosio, che potrebbe aiutarle a superare condizioni estreme di essiccazione e congelamento.

Adattandosi ad affrontare condizioni estreme, come il permafrost, per brevi periodi di tempo, i nematodi potrebbero aver acquisito il potenziale per rimanere inattivi su scale di tempo geologiche. 

“I nostri risultati sono essenziali per la comprensione dei processi evolutivi perché i tempi di generazione possono variare da giorni a millenni e perché la sopravvivenza a lungo termine degli individui di una specie può portare alla riemersione di lignaggi che altrimenti si sarebbero estinti”, ha precisato Philipp Schiffer, uno degli autori che ha curato lo studio. “Studiare l’adattamento delle specie ad ambienti così estremi analizzando i loro genomi ci permetterà di sviluppare migliori strategie di conservazione di fronte al riscaldamento globale”, ha aggiunto Schiffer.

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