Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso, ma i suoi segni possono leggersi anche nel sangue. Come? Con un test che misura quanto sono danneggiati i mitocondri delle cellule del sangue, e capace di rivelare tracce associate alla malattia prima che si manifestino i sintomi. Non si parla ancora di un test di utilizzo clinico, ma misurare il danno mitocondriale potrebbe diventare un giorno un marcatore della malattia, utile per valutare l’efficacia delle diverse terapie in fase di studio. A raccontare tutto questo è un gruppo di ricercatori internazionali, cui ha contribuito anche l’italiano Fabio Blandini, direttore scientifico della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, sulla pagine di Science Translational Medicine.
L’importanza della diagnosi precoce anche per le malattie neurodegenerative
La caccia a test precoci di malattie neurodegenerative è un campo florido di ricerche. Il motivo è presto detto: se potessimo identificare presto queste malattie, magari potremmo sperare di intervenire prima che il danno diventi visibile nei sintomi, e irreparabile. Il fallimento di tanti studi su terapie contro malattie neurodegenerative – non solo Parkinson ma anche Alzheimer- infatti, è imputabile in buona parte proprio a interventi troppo tardivi.
Solo pochi giorni fa un team di ricercatori britannici suggeriva che segni precoci della malattia potessero nascondersi negli occhi, e che fosse possibile leggerli fino a sette anni prima con un imaging della retina. Stavolta invece l’idea dei ricercatori è stata quella di cercare nel sangue. Il sangue infatti contiene informazioni preziose sulla salute del nostro corpo e, osservando come variano le popolazioni cellulari e marcatori molecolari, è possibile diagnosticare diverse malattie.
Gli occhi predicono il Parkinson. Sette anni prima della diagnosi
Misurare il danno dei mitocondri, nel sangue
In questo caso un possibile marcatore c’era già: il danno mitocondriale. I mitocondri sono dei piccoli organelli presenti all’interno della cellula, dove funzionano come delle piccole centrali energetiche. Sono speciali non solo per questo: al loro interno contengono infatti un proprio DNA. Ebbene, alcuni studi condotti in passato hanno osservato che nelle persone con Parkinson il DNA dei mitocondri – per motivi ancora per lo più sconosciuti – è danneggiato. Di qui l’idea dei ricercatori di mettere a punto un test per misurare l’integrità del DNA dei mitocondri (o di contro la sua degradazione) nelle cellule del sangue.
Un test simile – basato sulla tecnica della PCR e in grado di dare risultati nel giro di 24 ore – effettivamente mostra che il DNA mitocondriale è più danneggiato nel sangue di pazienti con Parkinson che nelle persone sane. Non solo: vede danni al DNA mitocondriale anche in persone che portano una mutazione associata alla malattia, quella nel gene LRRK2 (leucine-rich repeat kinase 2), ma senza malattia conclamata. Questo lascia supporre che sia possibile identificarne dei segni prima che si manifestino i sintomi, anche se – precisano i ricercatori – non è detto che persone con la mutazione poi svilupperanno segni clinici della malattia.
Parkinson, così l’esercizio fisico potrebbe rallentare la malattia

Diagnosi precoce e studio di nuovi farmaci
La potenzialità dunque di questo test, o di test simili, è quella di poterli utilizzare un giorno per diagnosi precoci, aumentando potenzialmente anche l’efficacia delle terapie, ha spiegato Laura Sanders della Duke University School of Medicine, a capo dello studio. Ma non solo: un test simile potrebbe essere usato anche come marcatore da impiegare nelle sperimentazioni. Di fatti, come mostrato in esperimenti negli animali e su cellule in coltura, il test è capace di osservare una riduzione del danno mitocondriale in presenza di un inibitore di LRRK2. Prima però, concludono gli autori, sarà necessario testarne l’affidabilità su numeri più grandi (sono solo un centinaio i campioni analizzati per ora) e comprendere meglio come cambia il danno mitocondriale nel tempo.